Quali sono le principali leggi fisiche su cui si basa la riabilitazione in acqua di pazienti vascolari?
Sicuramente Il principio di Archimede;
La legge di STEVINO che afferma che dato un fluido di densità costante ρ (ro), la pressione esercitata da una colonna di fluido in un suo punto di profondità h (affondamento di un punto dalla superficie in alto del liquido a contatto con l’ambiente esterno) è direttamente proporzionale alla sua profondità Δz e all’accelerazione esterna g.
- P = ρg Δz
↓
1 ATM a 10 metri prof
760 mm/hg
Da ciò si può teorizzare, convertendo le classi di compressione dei tutori contenitivi secondo la normativa tedesca espressi in mmHg
I classe compressiva 18,7-21,7 mmhg
II classe compressiva 25,5-32,5 mmhg III classe compressiva 36,7-46,5 mmhg IV classe compressiva >58,5 mmhg |
in Atm
I classe compressiva 0,024-0,028 ata
II classe compressiva 0,033-0,042 ata III classe compressiva 0,048-0,061 ata IV classe compressiva >0,077 ata |
e in fine in metri
I classe compressiva: 18-21 mmHg 0,24-0,28 metri
II classe compressiva: 23-32 mmHg 0,31-0,43 metri III classe compressiva: 34-46 mmHg 0,46-0,62 metri |
La terza legge importante da ricordare è il PRINCIPIO di PASCAL il quale afferma che una pressione esercitata in una regione qualsiasi di un fluido si trasmette uniformemente a tutta la massa del fluido il quale a sua volta esercita quella stessa pressione in tutte le direzioni.
Partendo da una valutazione comparata a secco e in acqua, individuati gli obiettivi di recupero a breve, medio e lungo termine, la terapia dovrà essere soprattutto nelle prime fasi individualizzata.
Non esistono protocolli, se non sequenze di lavoro realizzate per piccoli gruppi di persone stabilizzate nella propria forma clinica che necessitano di mantenimento. Queste gioveranno di attività aerobica in galleggiamento, camminamenti in acqua alta, mobilizzazione delle articolazioni, soprattutto delle caviglie, lievi carichi di lavoro con ausili gonfiabili, respirazione abbinata al movimento.
Quando invece approcciamo il paziente acuto/sub acuto, che ha subito un intervento oncologico oppure è in un momento di forte dolore, il nostro contatto dovrà essere dolce, lento, mirato al rilassamento, alla ricerca della fiducia del paziente, alla presa di coscienza del corpo.
Per fare questo il nostro lavoro necessiterà inizialmente di più ausili per mettere il paziente in una posizione confortevole, anzi, spesso sarà il corpo stesso del Fisioterapista a rendersi “culla”, usando una manualità che permetta di non perdere mai il contatto, possibilmente prossimale, dal cingolo scapolare, con prese a bandoliera o prese laterali, mantenendo sempre un contatto visivo col paziente.
In queste fasi non ci si può permettere distrazioni, il paziente deve avere massima fiducia in chi lo sta accogliendo. L’acqua ci aiuta per il suo ancestrale ruolo di contenitore, di fluido che sostiene.
I movimenti, sempre al limite di tolleranza, saranno lenti, con una particolare richiesta di attenzione rispetto a ciò che il paziente sente, posizione, maggiore o minore facilitazione di movimento, variazione del respiro, cercando di portare l’attenzione del paziente non sul dolore ma sul corpo, attraverso le sensazioni esterocettive e propriocettive.
Inizialmente potrebbe essere difficile lavorare supini o proni, quindi bisognerà arrivare con una lenta progressione al raggiungimento dei vari assetti.
Questa fase sarà mirata a ridurre i dolori, ridurre le tensioni muscolari, migliorare la circolazione e iniziare la mobilizzazione dell’arto/i interessati.
Non utilizzeremo sequenze con ausili contro resistenza, ma sfrutteremo solo la resistenza idrodinamica, l’affondamento, il galleggiamento.
Quando avremo raggiunto una buona compliance da parte del paziente e/o laddove si valuti di poter procedere con un recupero della funzione, i nostri obiettivi saranno il recupero dell’ipotonotrofia, delle autonomie, del movimento articolare, dello schema corporeo.
Potremo allora usare come riferimento i criteri descritti nell Metodo A.S.P. in idrokinesiterapia: l’uso degli ausili in questo caso ci permetterà di intensificare con progressività il carico di lavoro senza correre il rischio di affaticare gli arti.
Il paziente sarà più facilmente istruito sull’esecuzione di alcune sequenze di lavoro in autonomia, soprattutto quelle in galleggiamento per gli AA.II. e quelle in stazione retta per gli AA.SS.
Non dovrà mai mancare un’integrazione con esercizi di propriocettività, alla base del disuso o del cattivo uso durante i movimenti quotidiani.
La distinzione fatta tra i due momenti riabilitativi è molto individuale, ogni paziente avrà dei tempi diversi in cui passare da una fase all’altra, sia in base alla propria storia clinica che alla propria risposta fisica.
La scelta di lavorare in piccoli gruppi va valutata attentamente, anche se sono molti gli studi a favore di un’attività che permetta il confronto e lo scambio tra pazienti con patologie simili.
Noi consigliamo di partire sempre dalla seduta individuale per permettere al paziente di rapportarsi, attraverso il nostro aiuto, con l’ambiente acquatico sia da un punto di vista fisico che emotivo.
Per le controindicazioni facciamo riferimento a quelle generiche per l’idrokinesiterapia sottolineando che i pazienti con linfedema hanno una maggior facilità di infettarsi con micosi o di ipersensibilità se ci dovessero essere anomalie nel controllo dei valori di PH e cloro. Pertanto bisognerebbe avere le stessi attenzioni igieniche che si hanno nelle piscine frequentate da neonati. Questo non deve essere un limite, ma un invito a svolgere l’attività riabilitativa in ambienti idonei e controllati.
Dr. Fulvio Cavuoto
Fisioterapista